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Il nesso tra sviluppo sostenibile e messa al bando delle armi nucleari al centro di una recente conferenza, tenutasi in Vaticano

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di Ramesh Jaura

CITTÀ DEL VATICANO (IDN) – Quando i leader di tutto il mondo hanno approvato il documento “Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development” (“Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”), a valle del vertice delle Nazioni Unite di due anni fa, che ha portato all’adozione degli impegni post-2015, lo hanno descritto come “un piano di azione per le persone, il pianeta e la prosperità” che “cerca anche di rafforzare la pace universale, nel contesto di un’accresciuta libertà”.

Il documento, che comprende 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS o “Sustainable Development Goals“, SDG) e 169 propositi, è nato grazie al consenso, che si è formato attorno a queste tematiche durante le ampie discussioni sorte all’interno del gruppo di lavoro aperto (“Open Working Group”). Per questo, gli estensori hanno evitato meticolosamente di usare parole come “un mondo libero dalle armi nucleari”.

Ciò nondimeno, la risoluzione adottata dall’Assemblea generale comprende una dichiarazione che spiega “le interconnessioni e la natura integrata” degli OSS: «Non si può arrivare ad uno sviluppo sostenibile senza pace e sicurezza. Allo stesso modo, pace e sicurezza saranno sempre a rischio, senza uno sviluppo sostenibile». Il nesso tra pace, sicurezza e sviluppo è stato sottolineato anche durante un meeting organizzato dalle Nazioni Unite, insieme all’Unione africana, il 28-29 settembre 2017.

Tale nesso è stato rimarcato con coraggio da un simposio internazionale sulle prospettive di un mondo libero dalle armi nucleari e per il disarmo totale, organizzato, tra 10 e 11 novembre, dal Dicastero vaticano per la promozione dello sviluppo umano integrale.

In un comunicato del Vaticano, il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero, ha detto che l’evento «rispecchia le priorità di Papa Francesco sul promuovere azioni fattive per la pace nel mondo e per l’utilizzo delle risorse del creato per uno sviluppo sostenibile e per migliorare la qualità della vita di tutti, individui e paesi, senza alcuna discriminazione».

Il Dicastero è riuscito a riunire allo stesso tavolo leader religiosi e rappresentanti della società civile, funzionari in rappresentanza di nazioni e organizzazioni internazionali, ma anche eminenti accademici, premi Nobel e studenti, che si sono impegati a mettere in evidenza il rapporto tra disarmo totale e sviluppo integrale, esplorando i legami tra crescita, rinuncia alle armi e pace. In questo modo, il Dicastero ha provato a mettere in pratica una delle frasi più famose di Papa Francesco: «Tutto è collegato».

In un momento in cui la Corea del Nord e gli Stati Uniti continuano a mostrarsi vicendevolmente i propri “muscoli nucleari”, Papa Francesco ha detto ai partecipanti all’incontro del 10 novembre che, «alla luce delle complesse sfide politiche dell’attuale scenario internazionale, segnato, com’è, da un clima di instabilità e conflitto», le prospettive di un mondo libero dalle armi nucleari potrebbero «sembrare sempre più remote».

«In realtà, l’escalation nella corsa agli armamenti continua senza sosta e il costo della continua modernizzazione e dello sviluppo degli armamenti, non solo nucleari, rappresenta una spesa considerevole per le nazioni».

«Di conseguenza, le vere priorità che la nostra famiglia umana si trova a dover affrontare, come la lotta contro la povertà, la promozione della pace, l’impegno verso progetti educativi, ecologici e sanitari, ma anche la difesa dei diritti umani, vengono relegati al secondo posto», ha detto il Pontefice, sottolineando il legame che esiste tra pace, sicurezza e sviluppo.

Le armi nucleari riflettono “una mentalità di timore”, ha aggiunto, insistendo sul fatto che, tuttavia, uno sforzo efficace ed inclusivo potrebbe condurre allo smantellamento degli arsenali. «Le relazioni internazionali non possono essere tenute in scacco dalla forza militare, dall’intimidazione reciproca e della corsa agli armamenti», ha continuato il Papa. «Le armi di distruzione di massa, in particolare, se di origine nucleare, non creano nient’altro che un falso senso di sicurezza. Non possono diventare la base di una convivenza pacifica fra i membri della famiglia umana, che deve, piuttosto, lasciarsi ispirare dall’etica della solidarietà».

In quell’occasione, il Papa si è, poi, rivolto agli Hibakusha, i superstiti del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, insieme alle altre vittime dei test nucleari, come coloro che hanno subito gli effetti delle prove fatte nelle Isole Marshall.

Il Papa ha detto di sentirsi amareggiato per la diffusione delle tecnologie atomiche, favorita anche dalle comunicazioni digitali, e per il fatto che gli strumenti del diritto internazionale non siano riusciti ad impedire che altri stati si unissero alle nazioni che già possiedono degli armamenti nucleari. «Gli scenari che ne sono risultati sono profondamente preoccupanti, se consideriamo le sfide della geopolitica contemporanea, come il terrorismo o la guerra asimmetrica», ha aggiunto.

«Allo stesso tempo, un sano realismo continua ad accendere una scintilla di speranza in questo nostro mondo indisciplinato». Il Papa ha, poi, proseguito, facendo riferimento al Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari (il cosiddetto “Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons”, TPNW), che è stato «sostanzialmente, il risultato di una “iniziativa umanitaria”, promossa da una sintomatica alleanza tra società civile, nazioni, organizzazioni internazionali, chiese, accademici e gruppi di esperti».

La conferenza, che si è tenuta in Vaticano, rappresenta il primo grande congresso mondiale sul disarmo, dal momento in cui i 122 paesi aderenti hanno firmato, il 7 luglio scorso, il nuovo trattato ONU, che richiede la completa proscrizione delle armi nucleari. Il Vaticano è uno dei tre firmatari che hanno già ratificato l’accordo. Al contrario, nessuna delle potenze nucleari e nessun membro della NATO ha mai firmato il trattato.

Il Cardinale Turkson, nelle sue osservazioni di apertura, ha dichiarato che, mentre il desiderio di pace, sicurezza e stabilità è una delle ambizioni più profonde del cuore umano «ed è comprensibile che le persone, mosse dalla paura, chiedano disperatamente maggiore sicurezza e tranquillità», il modo giusto per rispondere ad una tale necessità non può passare, in generale, attraverso la proliferazione delle armi di distruzione di massa, né, in particolare, dagli armamenti nucleari. «Un simile atteggiamento non solo porta all’incremento dei problemi di sicurezza, ma riduce anche le risorse finanziarie delle nazioni da poter investire in questioni che possano portare ad una pace a lungo termine, come la salute, la creazione di posti di lavoro o la preservazione dell’ambiente».

Il cardinale Turkson ha ricordato anche che le nazioni di quel mondo, che tentava di riemergere dopo la seconda guerra mondiale, decisero di firmare insieme lo Statuto delle Nazioni Unite, «per promuovere lo stabilirsi e il mantenimento di uno stato di pace e sicurezza a livello internazionale, distogliendo solo una minima parte di risorse economiche e umane, presenti sul pianeta, a favore degli armamenti» (articolo 26).

Il cardinale Turkson ha, inoltre, richiamato l’attenzione su un’analisi allarmante, riguardante la spesa militare, citata dall’ex presidente degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower (uno dei generali a cinque stelle che portarono avanti la seconda guerra mondiale), nel suo discorso “Chance for Peace” (lett., “Chance di pace”, 1953), pronunciato subito dopo la morte di Joseph Stalin, l’allora capo di stato sovietico: «Ogni arma da fuoco prodotta, ogni nave da guerra varata, ogni missile lanciato rappresenta, in ultima analisi, un furto ai danni di coloro che sono affamati e non vengono nutriti, di coloro che hanno freddo e non vengono vestiti. Questo mondo che imbraccia le armi non sta solo spendendo del denaro. Sta utilizzando a questo scopo il sudore dei suoi operai, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi giovani».

«Il costo di un bombardiere pesante oggi è pari alle spese necessarie per dotare più di 30 città di una moderna scuola in mattoni, oppure per costruire due centrali elettriche, ciascuna in grado di fornire energia ad una città di 60.000 persone, o due ospedali perfettamente attrezzati. Il tutto corrisponde a circa 80 chilometri di strade con pavimentazione in calcestruzzo. Per un singolo aereo da caccia paghiamo l’equivalente di 13.600 tonnellate di grano. Per un singolo cacciatorpediniere paghiamo il costo di un nuovo insediamento urbano con case in grado di ospitare oltre 8.000 persone… Questo non è decisamente uno stile di vita, da qualsiasi punto di vista lo si osservi. Sotto la nuvola di una guerra minacciosa, c’è l’umanità, appesa ad una croce di ferro. […] Possibile che non ci sia un altro modo in cui il mondo può sopravvivere?»

Sviscerando le contraddizioni dei tempi moderni, il vincitore del premio Nobel del 2006, Muhammad Yunus, ha detto: «Abbiamo la fortuna di essere nati in un’epoca di grandi possibilità, un periodo pieno di tecnologie incredibili, di grande ricchezza e di potenziale umano illimitato. Ora, le soluzioni a molti dei problemi più pressanti in questo nostro mondo, che comprendono drammi come la fame, la povertà e le malattie, che hanno afflitto l’umanità da prima ancora che la storia nascesse, sono alla nostra portata».

«Eppure, le stesse tecnologie che possono portare la civiltà umana ad un miglioramento, sono anche in grado di eliminare tutti noi. Questo concetto ci riporta al tema della conferenza, per la quale siamo qui riuniti. Ammassare armi nucleari in modo frenetico ci potrebbe condurre ad una catastrofe umana, le cui proporzioni non possiamo nemmeno immaginare. È tempo di lavorare insieme per fermare questa corsa. Così come vogliamo creare un mondo senza povertà, vorremmo anche poter vedere un pianeta senza armi nucleari, in cui l’unico posto dove si possano trovare certe tecnologie sia un museo».

Alexei Arbatov, ex membro della Duma e vice presidente del Comitato di difesa del parlamento sovietico, che attualmente fa parte dell’Accademia russa delle scienze, ha parlato in modo schietto, dicendo che: «Il fatto che, in passato, il deterrente di una guerra nucleare abbia salvato il mondo o meno, non fornirà una tale garanzia per il futuro. La civilizzazione umana, che ha deciso di incentrare le proprie strategie di sicurezza sulla capacità di sterminarsi durante una guerra nucleare che dura da parecchio tempo, non merita il titolo di “civiltà”. È giunto il momento di trovare una garanzia alternativa».

Izumi Nakamitsu, alto rappresentante per il disarmo delle Nazioni Unite (United Nations Office for Disarmament Affairs, UNODA), ha incentrato le sue osservazioni, riportate il 10 novembre scorso, «sul ruolo del regime di disarmo e non proliferazione come pilastro diplomatico, che rafforza la pace e la sicurezza internazionale».

Il disarmo era un principio fondante per le Nazioni Unite, ha detto la dottoressa Nakamitsu. È presente sia nello Statuto, che auspicava «lo stabilirsi e il mantenimento di uno stato di pace e sicurezza a livello internazionale, distogliendo solo una minima parte di risorse economiche e umane, presenti sul pianeta, a favore degli armamenti», insieme ad un sistema di regolamentazione degli equipaggiamenti militari, sia nella primissima risoluzione dell’Assemblea generale, che cercava di eliminare le «armi atomiche e tutte le altre tecnologie adattabili alla distruzione di massa».

Hiromasa Ikeda, vice presidente di Soka Gakkai International (SGI), un’organizzazione buddista laica, con sede a Tokyo, ha sottolineato, nelle sue analisi, espresse l’11 novembre, la necessità di “aiutare le persone a risvegliarsi da questo folle incubo” di deterrenza nucleare, nel quale i cittadini del mondo sono tenuti in ostaggio e la “pace” si mantiene per via di un equilibrio fondato sul terrore.

«Dobbiamo far risvegliare le persone dall’incubo presente, attraverso le fulgide luci di una nuova visione. Concetti come il disarmo integrale, la sicurezza umana e lo sviluppo dell’uomo indicano tutti che tale visione è la giusta direzione da seguire», ha detto Ikeda.

«Nell’ambito del disarmo, le preoccupazioni umanitarie sono ciò su cui si fonda tale orientamento: esse hanno contribuito a introdurre una prospettiva umana nella questione della sicurezza. Il discorso umanitario ha portato ad un esplicito riconoscimento, all’interno della comunità internazionale, della imammissibilità della natura delle armi nucleari, contribuendo in modo importante alla stesura del Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari (il “Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons”, TPNW)», ha continuato.

«Alla base del discorso umanitario c’è l’affermazione che la questione delle armi nucleari non è solo un problema di diritto internazionale, ma ha anche una dimensione nettamente etica e morale», ha affermato Ikeda.

«In questo senso, il ruolo svolto dalle tradizioni religiose del mondo è degno di nota», ha detto Ikeda, aggiungendo che le dichiarazioni di Papa Francesco sia sul meeting di Vienna del 2014, sia in occasione della conferenza per i negoziati sul TPNW, tenutasi a New York quest’anno, hanno avuto un impatto positivo sul dibattito. «Da parte sua, la SGI ha partecipato attivamente all’iniziativa che ha portato alla dichiarazione “Faith Communities Concerned about Nuclear Weapons” da parte delle comunità religiose, preoccupate per le armi nucleari, che hanno pubblicato un totale di otto comunicati congiunti, indirizzati all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla conferenza di revisione del TNP (n.d.r., il Trattato di non proliferazione nucleare) e alla conferenza per i negoziati sul TPNW, esortando la messa al bando e l’eliminazione delle armi atomiche».

«Il preambolo del TPNW riconosce gli sforzi compiuti dai leader religiosi», ha sottolineato Ikeda. «Questa è una chiara ammissione del fatto che le voci che sollevano problemi etici o morali sono un fattore determinante del dibattito internazionale degli ultimi anni».

Ikeda ha concluso, dicendo: «All’interno della SGI, abbiamo garantito costante considerazione al tipo di approccio che sarebbe stato in grado di suscitare l’attenzione, in modo più efficace, di una vasta base elettorale pubblica in merito al dibattito sulla soppressione delle armi nucleari. Il concetto che abbiamo ideato è sintetizzato dalla frase: “Tutto ciò che per te è un tesoro”». [IDN-InDepthNews – 12 novembre 2017]

Foto: vista generale della conferenza tenutasi in Vaticano il 10-11 novembre 2017. Credit: Katsuhiro Asagiri | IDN-INPS

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